Ricorre oggi la solennità di san Giuseppe! Vogliamo meditare sulla figura di questo grande santo, patrono della Chiesa universale, aiutati da una bella riflessione del gesuita padre Massimo Pamapaloni.
Nel momento in cui mi sono accinto a scrivere questo articolo il mio sguardo è caduto su un angolo della mia scrivania, dove ormai, forse a causa della consuetudine, la mia attenzione non viene sempre sollecitata a fermarsi. Ma oggi lo sguardo è stato colpito e l’attenzione catturata. C’è una piccola riproduzione di Maria SS.ma del tipo odighitria (colei che indica la via, ossia il piccolo Gesù che tiene in braccio), il cui originale del XVI secolo si trova nell’eparchia di Piana degli Albanesi, in Sicilia. Poi vi è una piccola sfera armillare, che rappresenta la contemplazione dell’universo visto dal nostro punto di vista terrestre, la rappresentazione del complesso sistema simbolico sul quale si sono fondati tutti i Padri e i teologi della Chiesa fino al XVI-XVII secolo. Al centro, nel mezzo tra la Porta del Cielo attraverso il quale Dio si è fatto carne e la rappresentazione di quel mondo nel quale Dio è sceso, c’è una statuetta di san Giuseppe, con i suoi attributi iconografici classici: il bambino Gesù in braccio e la verga fiorita. La collocazione di questi tre oggetti sull’angolo sinistro della mia scrivania può essere del tutto casuale. Forse, spostando i libri o pulendo il ripiano, avrò spostato lì la sfera armillare oppure appoggiato san Giuseppe sulla scrivania prendendo un libro dallo scaffale dove, mi pare di ricordare, stava una volta. Fatto sta che oggi questa configurazione particolare mi ha fatto riflettere e pensare.
Maria e l’universo si richiamano a vicenda con una certa immediatezza, attraverso il “punto in comune” del Verbo di Dio. Una delle sfere armillari più famose, almeno per me fiorentino, ma anche per chi conosca un poco la storia dell’arte, è senza dubbio quella che fu commissionata ad Antonio Santucci da Ferdinando I de’ Medici nel 1588 e finita nel 1593, che oggi si trova al Museo Galileo di Firenze. Ebbene, in questa sfera è posto un disco, in alto, dove è rappresentato Dio Padre che con una mano stesa governa, muove e custodisce tutto il ruotare delle sfere celesti (ricordate il Paradiso di Dante?). In cima a tutta la sfera vi è la Croce di Cristo, come sigillo della salvezza eterna. Ora, la Croce gloriosa che ci ha salvato è stata possibile perché Cristo si è incarnato. E Cristo si è incarnato attraverso una terra vergine, bellissima: il grembo di Maria. D’altro canto il centro (al centro di una sfera armillare, appunto, c’è la Terra), il Verbo, che nulla potrebbe contenere, viene contenuto nel grembo di una donna. È il mistero dell’Incarnazione, che celebriamo in questo mese di marzo.
Ma Giuseppe? Cosa ci fa Giuseppe in questa contemplazione dell’Incarnazione che sta avvenendo sulla mia scrivania? Giuseppe mi comunica la concretezza della storia quotidiana. È il suo prendere parte a questo immenso mistero, nel quale sua Moglie è immersa da protagonista e lui invece con un ruolo apparentemente di comprimario. Però anche lui ha il Bambino in braccio.
È custode della Madre e del Figlio, ma è anche lui depositario del mistero divino (come ci dice san Giovanni Paolo Il di veneratissima memoria nella splendida Redemptoris custos, 5) partecipandoci da subito, con il suo sì alla voce di Dio nel sogno, all’accettare di camminare nella fede per accogliere il mistero. Una volta accolto? Proteggere il bambino, esercitare la propria paternità – in maniera gratuita poiché non c’è il legame del sangue, ma non meno intensa – come modo di partecipare alla missione del Redentore. Il prefazio di san Giuseppe dice infatti «Dio lo ha messo a capo della Sua famiglia, come servo fedele e prudente, affinché custodisse come padre il suo Figlio unigenito». Maria seguirà il percorso del Figlio, nella sua vita pubblica, nella Passione e morte, fino alla fine e sarà, secondo una antica tradizione, la prima testimone della resurrezione del Figlio. Giuseppe consuma “rapido” – anche questo secondo la tradizione – il suo compito di padre, uscirà in punta di piedi prima di ogni grande azione del figlio adottivo.
Il compito di padre è imprescindibile. In un tempo in cui la figura paterna viene così maltrattata, accusata di ogni eccesso (il “patriarcalismo”), sempre più diluita in forme liquide ed evanescenti, esponendo le nuove generazioni al vulnus di crescere senza l’apporto di questo fondamentale ruolo, il santo padre Francesco non a caso ci ha regalato una lettera apostolica, Patris corde, incentrata tutta sull’aspetto paterno di Giuseppe. Ma Giuseppe esercita la sua missione anche come sposo premuroso di Maria, prendendo decisioni importanti, come quella della fuga in Egitto per salvare il bambino dalla furia omicida di Erode. Ma anche nel sostenere Maria nel momento in cui è più fragile. Inoltre, sposo e padre attraverso il lavoro, che, come ci ricorda sempre Giovanni Paolo II, è «l’espressione quotidiana dell’amore nella vita della Famiglia di Nazaret» (Redemptoris Custos, 22). “Figlio del carpentiere” ci fa capire che Gesù stesso ha imparato il mestiere di Giuseppe, attraverso il suo insegnamento. E il lavoro delle proprie mani è un modo di vivere la nostra triplice missione che, in forza del Battesimo, riceviamo da quella di Cristo: essere re, sacerdote e profeta, come ci ricorda sempre Giovanni Paolo II nella Laborem exercens (n. 24). «Hai formato l’uomo, alle sue mani operose hai affidato l’universo perché nell’obbedienza a te, suo creatore, esercitasse la signoria su tutte le creature», ci ricorda invece la IV preghiera eucaristica. La semplicità di san Giuseppe è la via per seguire Cristo, attraverso le virtù umane alla portata di tutti, ma che siano vere e autentiche (Paolo VI).
Le stesse mani che hanno custodito Gesù custodiscono adesso la Chiesa, affidata alla sua protezione dal papa Pio IX. San Giuseppe è il protettore della Chiesa. Nel dicembre del 1870 il momento era realmente difficile per la Chiesa. Scrisse il card. Patrizi, allora Prefetto della S. Congregazione dei Riti:
«Ora, poiché in questi tempi tristissimi la stessa Chiesa, da ogni parte attaccata da nemici, è talmente oppressa dai più gravi mali, che uomini empi pensarono avere finalmente le porte dell’inferno prevalso contro di lei, il Santissimo Signor Nostro Pio Papa IX, per affidare Sé e i fedeli tutti al potentissimo patrocinio del Santo Patriarca Giuseppe solennemente lo proclamò Patrono della Chiesa Cattolica». In questi tempi in cui la persecuzione ai cristiani e alla Chiesa non è certo minore, riaffidarci alle mani di Giuseppe è ancora attuale e necessario. […]
Infine, non possiamo dimenticare che san Giuseppe è anche il patrono della buona morte. Alla sua morte, la tradizione ci fa pensare, al suo capezzale ha avuto Maria SS.ma e Gesù, la compagnia che tutti speriamo di avere in quel giorno attorno a noi. Vogliamo pregare, allora, il glorioso Patriarca, di unirsi a loro quando dovremo chiudere per sempre i nostri occhi su questa scena del mondo, per passare, insieme a loro – «Gesù, Giuseppe e Maria siate la salvezza dell’anima mia!» – alla luce che non avrà mai fine.
Tratto dalla rivista Il messaggio del Cuore di Gesù, Giugno 2021, pg. 44-46