Continuiamo a celebrare il 150° anniversario della nascita di santa Teresa di Gesù Bambino (2 gennaio 1873) e il primo centenario della sua beatificazione (29 aprile 1923). In questo numero – dato il periodo in cui ci troviamo – proponiamo un brano “natalizio”.
Mentre leggiamo teniamo presente che Teresa sta per compiere 14 anni al momento dell’evento che racconta. Il giorno di Natale, sperimenta una completa guarigione da un’ipersensibilità che ha ferito la sua vita fin dalla morte della Mamma all’età di quattro anni e mezzo. Il suo temperamento è cambiato: è diventata timida, un po’ introversa. Ipersensibile, piange per nulla e poi piange per aver pianto! Nove anni dopo, evoca quest’evento fondante che chiamiamo comunemente “la Grazia di Natale”.
Se il Cielo mi colmava di grazie non era perché io le meritassi; ero ancora molto imperfetta, avevo, è vero, un grande desiderio di praticare la virtù, ma mi ci mettevo in modo strano. Eccone un esempio: essendo l’ultima, non ero abituata ad arrangiarmi. Celina faceva la camera dove dormivamo insieme, invece io non facevo nessun lavoro di casa; dopo l’entrata di Maria al Carmelo, mi capitava qualche volta, per far piacere al Buon Dio, di provare a farmi il letto, o in assenza di Celina di andare la sera a portare dentro i suoi vasi di fiori; come ho detto, era per il Buon Dio solo che facevo quelle cose, così non avrei dovuto aspettarmi il grazie delle creature. Ahimé, le cose andavano in tutt’altro modo! Se Celina disgraziatamente non aveva l’aria felice e sorpresa per i miei servizietti, non ero contenta e glielo provavo con le lacrime…
Ero veramente insopportabile per la mia sensibilità eccessiva; così, se mi capitava di dare involontariamente un piccolo dispiacere a una persona che amavo, invece di vincermi e non piangere, cosa che aumentava la mia mancanza invece di diminuirla, piangevo come una Maddalena e, quando cominciavo a consolarmi della cosa in sé, piangevo per aver pianto… Tutti i ragionamenti erano inutili e non riuscivo a correggermi di questo brutto difetto. Non so come mi cullassi al dolce pensiero di entrare al Carmelo, visto che ero ancora nelle fasce dell’infanzia!…
Tutti i ragionamenti erano inutili e non riuscivo a correggermi di questo brutto difetto. Non so come mi cullassi al dolce pensiero di entrare al Carmelo, visto che ero ancora nelle fasce dell’infanzia!… Bisognò che il Buon Dio facesse un piccolo miracolo per farmi crescere in un momento e questo miracolo lo fece nel giorno indimenticabile di Natale. In quella notte luminosa che rischiara le delizie della Santissima Trinità, Gesù, il dolce piccolo Bambino di un’ora, cambiò la notte della mia anima in torrenti di luce… in quella notte nella quale Egli si fa debole e sofferente per mio amore, Egli mi rese forte e coraggiosa, mi rivestì della sua armatura e da quella notte benedetta, non fui vinta in nessun combattimento; anzi camminai di vittoria in vittoria e cominciai per così dire, «una corsa da gigante!…». La sorgente delle mie lacrime fu prosciugata e da allora si aprì solo raramente e difficilmente […].
Fu il 25 dicembre 1886 che ricevetti la grazia di uscire dall’infanzia, in una parola la grazia della mia completa conversione. Tornavamo dalla messa di mezzanotte nella quale avevo avuto la felicità di ricevere il Dio forte e potente. Arrivando ai Buissonnets mi rallegravo dell’idea di andare a prendere le mie scarpe nel camino. Quest’antica usanza ci aveva dato tanta gioia durante la nostra infanzia che Celina voleva continuare a trattarmi come una bambina, visto che ero la più piccola della famiglia… A Papà piaceva vedere la mia felicità, udire i miei gridi di gioia mentre tiravo fuori ogni sorpresa dalle scarpe incantate, e la gaiezza del mio diletto Re aumentava molto la mia felicità. Ma Gesù, volendo mostrarmi che dovevo liberarmi dai difetti dell’infanzia, me ne tolse anche le gioie innocenti: permise che Papà, stanco della messa di mezzanotte, provasse noia nel vedere le mie scarpe nel camino e dicesse queste parole che mi trafissero il cuore: «Bene, meno male che è l’ultimo anno!…». In quel momento salivo la scala per andare a togliermi il cappello; Celina, conoscendo la mia sensibilità e vedendo le lacrime brillarmi negli occhi, ebbe anche lei tanta voglia di versarne, perché mi amava molto e capiva il mio dispiacere: «O Teresa! mi disse, non andar giù, ti darebbe troppo dolore guardare subito nelle tue scarpe». Ma Teresa non era più la stessa, Gesù aveva cambiato il suo cuore! Reprimendo le lacrime, scesi rapidamente la scala e comprimendo i battiti del cuore, presi le mie scarpe e, mettendole davanti al Papà, tirai fuori gioiosamente tutti gli oggetti, con l’aria felice di una regina. Il Papà rideva, anche lui era ridiventato gioioso e Celina credeva di sognare!…
In quella notte di luce cominciò il terzo periodo della mia vita, il più bello di tutti, il più colmo di grazie del Cielo. In un istante l’opera che non ero riuscita a fare in 10 anni, Gesù la fece accontentandosi della mia buona volontà che mai mi mancò. Come i suoi apostoli potevo dirgli: «Signore, ho pescato tutta la notte senza prendere nulla». Ancora più misericordioso verso di me di quanto lo fu verso i suoi discepoli, Gesù prese Egli stesso la rete, la gettò e la tirò su piena di pesci… Fece di me un pescatore d’anime; sentii un grande desiderio di lavorare alla conversione dei peccatori, desiderio che non avevo mai sentito così vivamente. In una parola, sentii la carità entrarmi nel cuore, il bisogno di dimenticarmi per far piacere e da allora io fui felice!…
Brano tratto dal Manoscritto A, 44r-45v