Discendente del re Davide
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide».
Così l’evangelista Luca – al capitolo 2,1-4 – inizia il racconto della nascita di Gesù, ovvero spiegando che Giuseppe, sposo di Maria madre di Gesù, doveva farsi censire a Betlemme, perché era originario di quella città e perché era della casa e della famiglia del re Davide. In questo concordano sia la genealogia dell’evangelista Matteo (Mt 1,16, ribadita dalle parole dell’angelo in 1,20) che quella dell’evangelista Luca (Lc 3,23-38, anticipata dal già citato Lc 2,4).
Davide è il re d’Israele per eccellenza, colui che ne ha unificato le dodici tribù, dando loro come unica capitale Gerusalemme, che ha predisposto la costruzione del tempio… ma soprattutto a lui è legata la promessa divina di un regno messianico: è dalla sua discendenza – e non da un’altra – che nascerà «Colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. […] Egli si leverà e pascerà con la forza del Signore, con la maestà del nome del Signore, suo Dio» (Mi 5,1.3). Giuseppe dunque garantisce a Gesù la discendenza davidica, così che trovi pieno compimento la promessa divina di un Messia che salverà il suo popolo dai suoi peccati e non soltanto dalle minacce dei popoli stranieri, come aveva fatto il re Davide. Grazie a san Giuseppe, da un re guerriero ne nascerà uno pacificatore.
San Giuseppe come il re Davide?
C’è un altro aspetto su cui soffermare la nostra attenzione. La vera grandezza di Davide, che sottolineano soprattutto i libri biblici, non è di ordine politico, ma religioso. La sua pietà e le sue virtù religiose si rivelano in tre episodi importanti:
- quando tratta con rispetto Saul, riconosciuto come l’«unto del Signore» (1Sam 24);
- quando viene trasportata l’arca dell’alleanza a Gerusalemme (2Sam 6);
- quando desidera costruire il tempio ricevendo in risposta l’oracolo messianico dal profeta Natan (2Sam 7).
Sono tre episodi in cui Davide dimostra grande amore e rispetto per il Signore Dio d’Israele e li possiamo ritrovare, nel loro significato spirituale, anche nella vicenda di san Giuseppe. Pure lui è chiamato a riconoscere in Gesù il vero «unto del Signore», cioè il Messia atteso da tutti. Come Davide custodisce con cura l’arca dell’alleanza, così san Giuseppe deve custodire il Verbo incarnato, la vera presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Infine anche san Giuseppe è chiamato a costruire una casa al Figlio di Dio, una dimora dove Gesù possa crescere in tranquillità e possa sperimentare tutta la bellezza dell’amore umano quando custodisce qualcosa di prezioso.
Sant’Agostino, in un suo celebre sermone, dice che «conta di più per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata la madre di Cristo» (sant’Agostino, Discorso 25). Ugualmente è possibile dirlo di san Giuseppe, sia per quanto riguarda il “discepolato” di Cristo, che per la genealogia davidica: è più discendente di Davide per il suo vissuto religioso che non per la parentela ereditata.
Glorioso
Le Litanie in onore di san Giuseppe lo invocano come “glorioso figlio di Davide”. Ne ricordano appunto la stirpe davidica che conferisce a Gesù, aggiungendo però un importante aggettivo, per altro molto usato da santa Teresa di Gesù: glorioso. San Giuseppe è dunque “figlio di Davide”, ma anche colmo di gloria.
Oggi la gloria la possiamo intendere in tanti modi diversi. In generale essa è molto collegata alla ricchezza posseduta. Pur non conoscendo con certezza il grado sociale ed economico di san Giuseppe, la sua vita non è certamente da considerarsi povera poiché vissuta accanto a Gesù e a Maria.
Con “gloria” si intende poi la fama grandissima che il nostro santo si è acquistato tra i fedeli che a lui si rivolgono con fiducia e che, invocandolo, lo rendono sempre più “glorioso”.
La “gloria” è anche un motivo di orgoglio – in senso giusto e positivo ovviamente – poiché avere san Giuseppe come patrono ci deve rendere fieri, contenti di averlo al nostro fianco lungo il cammino.
Le anime del paradiso invece vivono nel trionfo e nella beatitudine davanti a Dio, in uno stato che viene definito “glorioso”, ovvero di gloria senza fine alla quale anela ogni fedele.
Tutti gli aspetti della gloria sopra elencati rendono “glorioso” san Giuseppe, tuttavia c’è ancora da evidenziare che nell’Antico Testamento la “gloria” indica il peso di qualcosa o qualcuno. Non si tratta del peso indicato dalla bilancia – e che molti vorrebbero fosse più basso – ma dell’influenza che una persona esercita sulla storia, il peso con cui le sue azioni concrete incidono nel corso degli eventi. “Gloriosa” è quindi prima di tutto l’azione del Dio d’Israele, ma anche di coloro che permettono al piano divino di realizzarsi, proprio come il nostro santo.
Sant’Ireneo – vescovo vissuto tra il 130 e il 200 d.C. – diceva che «La gloria di Dio è l’uomo vivente». L’uomo che accorda la sua vita con lo spartito della volontà divina è l’uomo che vive in pienezza la sua vocazione e partecipa della gloria di Dio divenendo a pieno titolo “glorioso”, glorioso figlio di Davide nel caso di san Giuseppe.