Una volta celebrata il giovedì della sesta settimana di Pasqua (esattamente 40 giorni dopo la Risurrezione), la solennità dell’Ascensione del Signore è stata poi spostata per motivi pastorali alla settima domenica di Pasqua. Per celebrare questa importante riccorrenza ci faremo guidare da padre Gabriele di santa Maria Maddalena, carmelitano scalzo belga che a Roma si è adoperato per tutta la vita all’approfondimento e alla divulgaizone della spiritualità, specialmente quella carmelitana.
L’opera da cui il brano è tratto è Intimità divina, un volume che raccoglie meditazioni sulla vita interiore per ogni giorno dell’anno e che ha trovato nel tempo grandissima diffusione in tutto il mondo. Lo scopo dell’opera è quello di guidare il fedele nel colloquio amoroso con Dio. Per farlo, nel brano che proponiamo, padre Gabriele, dopo una citazione iniziale del salmo 47, offre due meditazioni sulla solennità in questione, seguite poi da due testi che esplicitano il dialogo della preghiera attraverso le parole della litrugia del giorno e quelle di sant’Agostino.
Ci auguriamo che questa metodologia possa aiutare il lettore a meditare e a vivere con più consapevolezza la solennità dell’Ascensione e il suo significato per la vita del credente.
1. L’Ascensione del Signore è il coronamento della sua Risurrezione. È l’entrata ufficiale in quella gloria che spettava al Risorto dopo le umiliazioni del Calvario; è il ritorno al Padre da lui già annunciato il giorno di Pasqua: «Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17) aveva detto alla Maddalena. E ai discepoli di Emmaus: «Non doveva forse il Messia patire tali cose, ed entrare poi nella sua gloria?» (Lc 24,26). Questo modo di esprimersi indica non tanto un ritorno e una gloria future, ma immediati, già presenti perché strettamente connessi alla Risurrezione. Tuttavia per confermare i discepoli nella fede era necessario che ciò avvenisse in modo visibile, ciò si verificò quaranta giorni dopo la Pasqua. Quelli che avevano visto il Signore morire in croce, tra insulti e derisioni, dovevano essere i testimoni della sua suprema esaltazione al cielo.
Gli Evangelisti riferiscono il fatto con molta sobrietà e tuttavia il loro racconto fa risaltare la potestà di Cristo e la sua gloria: «È stato dato a me ogni potere nel cielo e sulla terra», si legge in Matteo (28,18) e Marco aggiunge: «il Signore Gesù… fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio» (16,19). Luca invece ricorda l’ultima grande benedizione di Cristo agli Apostoli: «nel benedirli si staccò da loro e si sollevava verso il cielo» (24,51). Anche negli ultimi discorsi di Gesù rifulge al sua maestà divina. Egli parla come chi può tutto e predice ai discepoli che nel suo nome «cacceranno demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e se berranno qualche cosa di mortifero non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e guariranno» (Mc 16,17-18). Gli Atti degli Apostoli attestano la realtà di tutto questo. Luca poi, sia nella conclusione del suo Vangelo sia negli atti, parla della grande promessa dello Spirito Santo che conferma gli Apostoli nella missione e nei poteri ricevuti da Cristo: «Ed ecco, io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso» (Lc 24,49); «riceverete forza dalla venuta dello Spirito Santo su di voi, e sarete miei testimoni… fino all’estremità della terra. E detto questo, si levò in alto alla lro vista, e una nuvola lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,8-9). Spettacolo esaltante che lasciò gli Apostoli attoniti «fissando il cielo», finché due angeli non vennero a scuoterli.
2. Il cristiano è chiamato a partecipare a tutto il mistero di Cristo e quindi anche alla sua glorificazione. Egli stesso l’aveva detto: «Vado a prepararvi un posto. E quando sarò andato… verrò di nuovo a voi e vi prenderò con me, affinché siate anche voi dove sono io» (Gv 14,2-3). L’Ascensione costituisce perché un grande argomento di speranza per l’uomo che nel suo pellegrinaggio terreno si sente esule e soffre lontano da Dio. È la speranza che S. Paolo invocava per gli Efesini e voleva viva nei loro cuori.«Il Dio del Signor nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria… illumini gli occhi della vostra mente per comprendere a quale speranza egli vi abbia chiamati» (Ef 1,17-18). E dove fondava l’Apostolo questa speranza? Nella grande potenza di Dio «dispiegata in Cristo, risuscitandolo dai morti e facendolo sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di Principato e potestà [ossia degli angeli]… e di ogni altro nome» (Ef 1,20-21). La gloria di Cristo esaltato al di sopra di ogni creatura è, nel pensiero paolino, la prova di quanto Dio farà per quelli che, aderendo a Cristo con la fede e appartenendo a lui come membra di un unico corpo di cui elgi è il capo, condivideranno la sua sorte. Questo comporta il cristianesimo autentico: credere e nutrire ferma speranza che come oggi il credente, nelle tribolazioni della vita, partecipa alla morte di Cristo, così un giorno parteciperà alla sua gloria eterna.
Ma gli angeli che sul monte dell’Ascensione dicono agli Apostoli: «Quel Gesù che fu tolto a voi per il cielo, un giorno verrà, nello stesso modo in cui l’avete veduto andare in cielo» (At 1,11), ammoniscono i credenti che nell’attesa del ritorno finale di Cristo occorre mettersi all’opera. Con l’Ascensione termina la missione terrena di Cristo e inizia quella dei suoi discepoli. «Andate – aveva detto loro il Signore – ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19); essi devono rendere perenne nel mondo la sua opera di salvezza predicando, amministrando i sacramenti, insegnando a vivere secondo il Vangelo. Tuttavia Cristo vuole che ciò sia preceduto e preparato da una pausa di preghiera nell’attesa dello Spirito Santo che dovrà confermare e corroborare i suoi Apostoli. La vita della Chiesa comincia così non con l’azione, ma con la preghiera, assieme «a Maria, la Madre di Gesù» (At 1,14).
Dio onnipotente, guarda la tua Chiesa che esulta e ti rende grazie in questa liturgia di lode, poiché in Cristo che ascende al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te: concedi a noi, membra del suo corpo, di vivere la speranza che ci chiama a seguire il nostro capo nella gloria (Colletta).
Signore Gesù, re della gloria, vincitore del peccato e della morte, oggi sei salito al di sopra dei cieli tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, ci hai preceduti nella dimora eterna, per dare a noi la serene fiducia che dove sei tu, capo e primogenito, saremo anche noi, tue membra, uniti nella stessa gloria (cf. Prefazio I).
«Innalzati sui cieli, o Dio… tu che rimanesti rinchiuso nel seno di una madre, che fosti formato da colei che tu stesso formasti… tu che il vecchio Simeone conobbe piccolo e celebrò grande, che la vedova Anna vide lattante e riconobbe onnipotente; tu che soffristi la fame e la sete per noi, che ti affaticasti nelle tue peregrinazioni per noi… tu, arrestato, legato, flagellato, coronato di spine, appeso al legno della croce, trafitto da una lancia; tu, morto e sepolto, innalzati sui cieli, o Dio!» (Sant’Agostino, Discorsi, 262,4).
«La tua Risurrezione, o Signore, è la nostra speranza, la tua Ascensione è la nostra glorificazione… Fa’ che ascendiamo con te e che il nostro cuore si innalzi a te. Ma fa’ che, innalzandoci, non ci inorgogliamo né presumiamo dei nostri meriti quasi fossero nostra proprietà; fa’ che abbiamo il cuore in alto, ma presso di te, poiché innalzare il cuore ma non a te è superbia, innalzarlo a te è sicurezza. Tu che scendi al cielo ti sei fatto nostro rifugio…
Chi è colui che ascende? Quegli stesso che è disceso. Sei disceso, Signore, per sanarmi, se mi innalzi rimango saldo… A re risorgi dico: Signore, tu sei la mia speranza; a te che ascendi al cielo: tu sei il mio rifugio» (Sant’Agostino, Discorsi, 261,1).